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Le definizioni di violenza

di Laura Terragni

Blumer scrisse nel 1971 che "i problemi sociali non sono il risultato di un intrinseco mal funzionamento di una società ma sono il risultato di un processo di definizione nel quale una determinata condizione è identificata come, appunto, un problema sociale."

Questa riflessione è particolarmente pertinente quando andiamo ad osservare il fenomeno della violenza subita dalle donne: i maltrattamenti in ambito familiare, la violenza sessuale , le molestie e i ricatti sul luogo di lavoro. Non parliamo certo, in questi casi, di fenomeni nuovi.

Gli abusi nei confronti delle donne rappresentano un dato per così dire ricorrente nella storia diverso è stato tuttavia, nel corso del tempo, il modo in cui tali fenomeni sono stati considerati, la gravità sociale attribuita loro, il modo di reagire di fronte a essi da parte del contesto sociale e istituzionale.

Non è senza dubbio il modo stesso in cui le donne sono divenute attori sociali rilevanti rispetto a questi problemi, non solo in forma di organizzazione collettiva, ma soggettivamente, dando un nome (la parola "violenza" appunto) ad atti subiti nel tempo e avvolti nel silenzio.

Cercheremo qui di ripercorrere le tappe fondamentali della definizione del fenomeno violenza contro le donne, soffermandoci, in particolare, su alcuni nodi esenziali: la tematizzazione dal punto di vista giuridico e quella invece di tipo "sociale" che, benché strettamente in relazione tra loro, offrono spunti di analisi distinti per comprendere le trasformazioni avvenute.

Per quanto, talvolta sarà necessario distinguere tra "Maltrattamento dentro le mura domestiche" e "violenza sessuale" (una distinzione che é riconducibile alla differenziazione in sede giuridica tra questi due reati), appare opportuno superare tali distinzioni guardando piuttosto alla loro matrice comune: al fatto cioè che queste sono violenze che hanno una specifica connotazione "sessuata".

Violenze compiute da uomini nei confronti delle donne , nell'ambito di un sistema istituzionalizzato di potere maschile. Nel 1869 Stuart Mill affermava che "dagli albori della società umana ogni donna si è trovata in uno stato di servaggio nei confronti di qualche uomo".

Era la sua voce quasi isolata , che si scontrava, vale la pena ricordarlo, con quanto stabilito dalla legge.

In Inghilterra fino alla fine dell'ottocento è rimasta in vigore una norma della "Common law" che permetteva ai mariti di picchiare le mogli a patto che non venisse usato un bastone più spesso di un pollice (Trasforini 1999).

In Italia è solo con l'approvazione del nuovo diritto di famiglia , nel1975, che viene di fatto abolita l'autorità maritale, ovvero la liceità da parte del coniuge, di far uso "di mezzi di correzione e di disciplina" nei confronti della propria moglie: Ed è solo nel 1981 che scompare dal nostro codice il "delitto d'onore" , che permetteva ai mariti di godere di sensibili sconti di pena e nel caso in cui uccidessero la propria moglie per infedeltà. Come è sempre del 1981 la scomparsa dal nostro codice del "matrimonio riparatore" che consentiva a chi avesse commesso uno stupro di vedere estinto il proprio reato qualora avesse contratto matrimonio con la propria vittima (Terragni 1997).

Queste brevi indicazioni danno senza dubbio il senso della profonda asimmetria di genere che caratterizza il sistema delle norme giudiziarie non solo in Italia. Non stupisce pertanto la difficoltà incontrata dalle donne a scardinare, o per lo meno a cercare di scalfire, un sistema che legittimamente le poneva in condizioni di sottomissione e di dipendenza nei confronti del potere maschile.

Un esempio classico è quello del lungo e travagliato cammino (sui cui esiti permangono, per altro, ancora numerose incertezze), dell'approvazione della nuova legge sulla violenza sessuale, approvata nel 1996 (Virgilio 1997).

Uno dei punti più rilevanti di tale legge è il fatto che il reato di violenza carnale, unificato insieme al reato di atti di libidine, viene posto tra i reati "contro la persona" e non più, come accadeva nella legislazione passata (che ha una tradizione secolare) tra i reati contro "la morale, il buon costume e - per il passato - contro l'ordine delle famiglie".

L'approvazione di questa nuova legge, voluta da una "coalizione trasversale" di donne di tutti i partiti presenti in Parlamento alla vigilia della Conferenza Mondiale delle Donne tenutasi a Pechino, segna, per l'Italia, almeno teoricamente, il raggiungimento di una piena cittadinanza del corpo sessuato femminile.

Appare inoltre chiaro come nella legislazione italiana (non così è invece per molti paesi occidentali), si voglia tutelare anche la libertà sessuale all'interno della sfera familiare: i mariti non godono di esenzioni specifiche (ma provare una violenza coniugale rimane sempre difficile nelle aule di tribunali) e nella nuova legge non è stata accolta l'ipotesi, pure sostenuta da molti e da molte, di una procedibilità a querela di parte per i reati familiari e di una d'ufficio per quelli che accadono al di fuori delle mura domestiche.

Attualmente è in vigore in Italia, tanto per la violenza sessuale quanto per il maltrattamento in famiglia, la procedibilità a querela di parte (a meno che non vi sia un concorso da parte di altri nel compier il reato o che non vi siano lesioni superiori ad una certa entità). Questo aspetto può essere valutato in un duplice modo: si potrebbe infatti affermare che ciò vada visto come una mancanza da parte dello Stato nel farsi attore in prima persona della tutela dei soggetti interessati da questo tipo di violenze; è tuttavia opportuno ricordare come una gran parte del movimento delle donne abbia sostenuto (con scontri anche al suo interno) proprio la procedibilità a querela: per sottolineare, ancor più, la soggettività e l'autonomia della donna, per mettere la donna nella condizione di prendere essa stessa una decisione tanto rilevante.