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Le donne

  23 agosto 2018

Le donne: una risorsa cui attingere

L'unificazione europea, avvenimento di grande rilievo storico e politico, caratterizza la fine di questo nostro secolo e ci dimostra nei fatti che non vi è più alternativa ad un blocco di Paesi unito nelle scelte politiche, economiche e sociali, capace di delineare e realizzare un cammino comune nei terreni della pace, della giustizia, della solidarietà e nell'affermazione e difesa dei diritti umani e di cittadinanza.

Le strade dell'Unione europea sono profondamente segnate da una nuova soggettività, quella delle donne, che hanno saputo mettersi in gioco, cambiare e produrre elementi di trasformazione e d'innovazione nel sociale, nell'economia, nella politica e nei modelli di vita.

Nel momento in cui l'Europa si interroga sulla propria identità, sui valori che la caratterizzano, sul suo ruolo e sul suo futuro, le donne possono essere la vera risorsa a cui attingere.

Le donne, che per molto tempo sono state lasciate all'ombra della storia, anche di quella europea, ora hanno incominciato ad uscirne e il loro ruolo, la loro condizione, le loro aspettative, il loro silenzio e le loro parole sono provocazioni ed opportunità per un'Europa che vuole essere il luogo e lo spazio di cittadinanza e di diritti uguali per tutti, uomini e donne.

Oltre metà della popolazione europea è oggi costituita da donne.

Cresce la loro presenza nei processi scolastici e formativi e nel lavoro, ma restano alti i livelli disoccupazione femminile, specie quella giovanile e quella residente nei Paesi dell'area mediterranea.

Ogni giorno, pur con modi e intensità diversi legati alle varie realtà territoriali, le donne devono affrontare difficoltà e continuano a subire discriminazioni, anche se importanti progressi si sono ormai compiuti e se molte situazioni d'emarginazione sono un ricordo del passato.

L'Europa comunitaria, fin dal momento della sua nascita, con ritardi e contraddizioni, ha assunto e fatto proprio questo difficile problema e ha posto tra i suoi obiettivi quello di perseguire la parità uomo donna, in primo luogo nel campo del lavoro.

Così il Trattato di Roma del 1957 all'articolo 119 dispone che: "Ciascuno Stato membro assicura durante la prima tappa e in seguito mantiene l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra i lavoratori di sesso femminile per uno stesso lavoro. Per retribuzioni deve essere inteso, ai sensi del presente articolo, il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell'impiego di quest'ultimo. La parità di retribuzione, senza discriminazione fondata sul sesso, implica:

  • che la retribuzione accordata per uno stesso lavoro pagato a cottimo sia fissata a una stessa unità di misura;
  • che la retribuzione corrisposta per un lavoro pagato a tempo sia uguale per un posto di lavoro uguale".

Il primo tassello per una politica di parità segna, come si vede, un terreno limitato, ma estremamente concreto, dal quale si è partiti per avviare una svolta fondamentale sul terreno dell'autonomia, del protagonismo e della cittadinanza delle donne.

Primo tassello per alcuni versi ancora incompiuto, ma certo tale da segnare il futuro della politica europea in materia.

L'articolo 119 resta, quindi, un elemento di grande rilevanza politica e offre le basi per la strategia, gli interventi, i progetti e il cammino che si snodano dal Trattato di Roma a quello di Maastricht del 1992 e, infine, a quello di Amsterdam, firmato dai 15 Stati dell'Unione nel giugno del 1997 ed entrato in vigore il 1° maggio del 1999.

Ed è proprio in quest'ultimo che registriamo, pur nella continuità di una linea politica ormai consolidata, una svolta di rilevanza indiscutibile.

Infatti nella sezione relativa alla "Politica sociale, istruzione e formazione professionale e gioventù", l'articolo 137 disciplina che, per conseguire gli obiettivi della promozione dell'occupazione e del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, la Comunità sostiene e completa l'azione degli Stati membri in specifici settori tra cui la "parità tra uomo e donna per quanto riguarda le opportunità sul mercato del lavoro ed il trattamento nel lavoro". La parità di retribuzione, senza discriminazione fondata sul sesso, implica: che la retribuzione corrisposta per uno stesso lavoro pagato a cottimo sia fissata in base a una stessa unità di misura; che la retribuzione corrisposta per un lavoro pagato a tempo sia uguale per uno stesso posto di lavoro. Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 251 e previa consultazione del Comitato economico e sociale, adotta misure che assicurino l'applicazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, ivi compreso il principio della parità di retribuzioni per uno stesso lavoro di pari valore. Allo scopo di assicurare l'effettiva e completa parità tra uomini e donne nella vita lavorativa, il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure che prevedano vantaggi specifici diretti a facilitare l'esercizio di un'attività professionale da parte del sesso sottorappresentato ovvero a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali".

Come si può notare, nello spazio di 40 anni (lunghi per la vita di un essere umano, ma brevi per il cammino dei popoli e della storia), la parità tra uomini e donne non solo compie progressi concreti, ma viene elevata a "diritto le discriminazioni basate sul sesso e di promuovere politiche che valorizzino le donne, non più considerate "forza debole" del mercato, ma a tutti gli effetti "risorsa".

Le iniziative e gli interventi sul terreno della pari opportunità, avviati fin dalla nascita della Comunità e sostenuti negli anni, si sono estesi a settori e campi sempre più vasti e hanno dato vita ad importanti direttive e raccomandazioni, il cui punto di riferimento, di raccordo e di sintesi ha trovato sbocco nei quattro Programmi di azione comunitaria per le pari opportunità tra donne e uomini.

Il quarto di questi Programmi (1996-2000) vede estendersi gli obiettivi dell'unione europea fino a prevedere la promozione della dimensione della pari opportunità per donne e uomini in tutte le politiche e azioni comunitarie.

Non si possono, infine, dimenticare l'impegno e il ruolo della Commissione, del Parlamento europeo, in seno al quale opera un'apposita commissione parlamentare per i diritti delle donne, e del Consiglio europeo, istituzioni queste che hanno saputo imprimere uno slancio significativo e costruttivo alla strategia e alle politiche di pari opportunità.

Un esame dettagliato e corretto dell'azione dell'UE in questo campo può essere, prima dell'attuale fase, diviso, a grandi linee, in tre periodi:

  • il primo caratterizzato dalla mera enunciazione dell'opportunità e della necessità di evitare le discriminazioni salariali tra lavoratori e lavoratrici (anni 60);
  • il secondo teso a sottolineare l'importanza delle politiche sociali da attuare nei diversi Paesi e consentire così una maggior e migliore partecipazione delle donne all'attività lavorativa (anni 70);
  • il terzo finalizzato chiaramente alla realizzazione delle apri opportunità tra i sessi con la specifica raccomandazione del Consiglio volta a promuovere azioni positive a favore delle donne (anni 80).

Il tempo attuale , quindi, il nostro presente, il nuovo trattato di Amsterdam hanno radici ben salde e sono effetti di un processo storico in cui possiamo leggere ed assumere la parità non come un elemento statico, come un valore astratto, definito una volta per tutte, ma come un cammino che si misura con le grandi trasformazioni e con la quotidianità dei piccoli atti.

Una storia che ci dimostra concretamente come per costruire una dimensione reale e corretta dell'uguaglianza occorra partire ed assumere il concetto di differenza..Si è, infatti, uguali, in quanto riconosciuti come diversi, ai quali si offrono, attraverso gli interventi denominati "azioni positive" , pari opportunità..

All'interno di questo modo di vedere e perseguire l'uguaglianza, i singoli individui, con le loro specificità, non vengono annullati in un processo di omologazione rispetto ai modelli dominanti, ma accettati, ritenuti indispensabili e fondamentali.Con l'inizio degli anni 90, sulla base delle valutazioni dei risultati ottenuti con i programmi e gli interventi messi in campo e assumendo positivamente i cambiamenti che questi hanno prodotto nella vita delle donne, si registra nella politica comunitaria per la parità una svolta che, pur non abbandonando i terreni tradizionali, affronta nuove sfide e individua più alti e difficili obiettivi.

Così, la Conferenza mondiale dell'ONU dedicata alle donne, svoltasi a Pechino nel 1995, segna quasi uno "spartiacque" nella politica delle pari opportunità.

Essa raccoglie le novità più significative e vede nell'esperienza, nella cultura, nei valori di cui le donne sono portatrici, un elemento fondamentale per il raggiungimento dell'uguaglianza, dello sviluppo e della pace.

In tal senso, forte e determinato è stato il contributo dato e il ruolo svolto dalla Comunità europea e dai Paesi che ne fanno parte.

Infatti, la preparazione della Conferenza è stata caratterizzata da iniziative europee decisive e tali da offrire alla delegazione che ha rappresentato l'Europa a Pechino un ricco patrimonio di idee, di proposte e una legittimazione politica che la fa essere un interlocutore coraggioso, determinato e anche esemplare per tutta una serie di aspetti fondamentali per la vita delle donne in Europa e nel mondo.

Tale fase di preparazione ha tematizzato e messo a fuoco, come si è già detto prima, un nuovo concetto e modo di vedere e di praticare la parità tra i sessi e cioè l'idea che per raggiungere l'uguaglianza dei diritti e delle condizioni sia necessario riconoscere la differenza del genere maschile e femminile e valorizzare l'esperienza e i saperi di cui le donne sono portatrici.

Essa ha individuato, inoltre, come i progetti, le iniziative e gli interventi incentrati sulla donne abbiano aiutato a cambiare una situazione carente e deficitaria sul piano della parità ed automaticamente proposto soluzioni e determinato mutamenti di una tale valenza da poter essere assunti come modello per i i cambiamenti complessivi che toccano il genere umano tout court.

Quindi, cambiare la condizione della vita delle donne, realizzare processi di parità reale e valorizzare la soggettività femminile sono tutte azioni viste non solo come una giusta operazione di riequilibri ma come un modo per intervenire e modificare le politiche globali. La dimensione più vera e significativa di questa situazione la troviamo nel campo del lavoro, dove il "femminile" può essere il modello per il futuro. Le donne, infatti, non sono mai state, specie in un Paese come il nostro, "riconosciute per il lavoro che hanno svolto" ed esse stesse, specialmente nel passato, non si sono quasi mai rappresentate attraverso di esso.

Al contrario, esse hanno avuto dall'esterno un continuo disconoscimento del loro valore professionale e hanno faticato ad autovalorizzarsi.

Sono, dunque, i soggetti che meno hanno interiorizzato, perché non erano diretti a loro, i valori della cultura del lavoro.

Ed oggi, rispetto alla crisi e ai cambiamenti che viviamo, la soggettività femminile ne esce meno intaccata, anzi sembra avere tutti i presupposti perché diventi la soggettività che più di altre può proporre sé come uno dei modelli della nuova cultura del lavoro.

Partire dalle donne, quindi, per costruire una più forte politica europea, per determinare un nuovo sviluppo e una più alta convivenza sociale.

Tutto questo viene espresso e sintetizzato con un nuovo termine, mainstreaming, che, portato e proposto dagli europei, trova la sua

legittimazione nella Conferenza di Pechino e ne diventa uno degli assi portanti su cui si costruiscono i due documenti finali e cioè la Dichiarazione e il Programma di azione.

Mainstreaming, termine inglese che non trova una corrispondente parola nella nostra lingua, ma che vuole significare un passaggio, un mutamento di prospettiva e che afferma come sia ormai necessario , pur mantenendo interventi specifici per le donne, inserire una visione di genere, il punto di vista delle donne, in ogni scelta politica, in ogni programma, in tutte le azioni di governo.

Praticare il mainstreaming può, quindi, essere e diventare occasione per un rinnovamento delle politiche, per la valorizzazione del capitale umano, per una cultura di governo che metta al suo centro i temi della qualità dello sviluppo e delle grandi riforme sociali.

Anche il quarto Programma di azione della Comunità ha come filosofia di fondo questo concetto e cerca di ampliare la sfera di azione e di interventi in tutti i campi della politica, con particolare riguardo ai temi della formazione, dell'accesso al mercato del lavoro e dell'occupazione.

D'altronde, il Consiglio di Lussemburgo del 1996, per parte sua, sottolinea come proprio l'accesso al mondo del lavoro sia uno dei campi in cui si gioca la partita politica a favore delle pari opportunità.

"I pilastri di azione", fissati proprio durante il vertice del Granducato, le linee guida sulle quali muovere le politiche nazionali per l'occupazione sono, infatti, il quadro in cui le pari opportunità assumono un significato più ampio, tanto che, nel proporre la riforma dei Fondi strutturali, si fissano tra le aree di interesse la "promozione dell'inclusione sociale e delle pari opportunità" e "l'aumento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro" e si assiste, così, da una parte, al realizzarsi di uno spazio sociale europeo sempre più importante per le donne e, dall'altra, ad una continua crescita di queste ultime sul terreno del protagonismo politico e della responsabilità sociale.

Resta, tuttavia, uno scarto forte e profondo tra i cambiamenti vissuti dalle donne, la loro crescita di scolarità e di presenza nel mercato del lavoro e nel sociale e la loro rappresentanza nel Parlamento europeo e nei fori decisionali in generale.

Colmare questo scarto vuol dire impegnarsi concretamente sui terreni della crescita del processo democratico, della costruzione di un'Europa in cui a tutti i cittadini e a tutte le cittadine vengono offerte condizioni reali di parità e di pari opportunità nell'accesso e nell'esercizio del potere e delle responsabilità.

In quest'ottica, a Pechino anche un'altra parola è stata faro ed ancora delle protagoniste colà convenute: empowerment, concetto elaborato e proposto dalle donne femministe del Sud del mondo e che non può essere tradotto e interpretato semplicemente con "attribuire potere alle donne".

Esso, piuttosto, vuole più complessivamente (e l'Europa unita ne ha profondamente bisogno) affermare che il potere alle donne, la loro responsabilità, la loro autonomia e la capacità di avere voce in capitolo della famiglia, nella società e nella politica sono ricchezza e strumento per la realizzazione di uno sviluppo più giusto, di una politica più democratica, di una società più solidale e libera..

La soggettività femminile e le politiche europee intrecciano, quindi, in quest'epoca di mutamenti un rapporto fecondo, forte e determinante per la costruzione del futuro.

Le donne, che hanno sempre saputo guardare all'Europa con utopia, speranza e realismo, anelano a nuovi orizzonti, più alti obiettivi, rispondenti ai loro valori, alle loro aspettative e ai bisogni quotidiani della loro vita, ma sono coscienti che tutto questo non è e non sarà facile ottenerlo, perché richiede profonde trasformazioni negli assetti di potere e la messa in discussione di tradizioni consolidate. Con realismo e disincanto, quindi, abbandonano sempre più il mito dell'onnipotenza e assumono, senza rinunciare all'orizzonte dell'utopia, il "senso del limite" come una strategia vincente nel tempo.L'Europa deve saper guardare alle donne con questi stessi sentimenti ed obiettivi politici se vuole avere un futuro e un'anima.