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Potere politico potere domestico

Potere politico, potere domestico - Le due facce della parità

L'8 dicembre il governo francese ha adottato un progetto di legge che mira a realizzare la parità uomo-donna in politica, soprattutto in vista delle elezioni municipali del 2001. Ma il rifiuto di imporre un vincolo preciso riguardo alla posizione che le donne devono occupare sulle liste suscita già molte critiche. Ma la condivisione del potere politico implica anche che, per facilitare l'accesso ai posti di responsabilità di tutte le donne, e non solo di quelle privilegiate, occorra un vero statuto della professione politica e l'attuazione di misure speciali che alleggeriscano i carichi familiari.

di Mariette Sineau *
Il successo elettorale delle donne in Francia in occasione delle elezioni europee è un avvenimento passato quasi sotto silenzio ma che invece merita di essere sottolineato. Già numerose tra i candidati (39,5%), le donne lo sono state ancora di più evento insolito tra gli eletti (40,2%). Hanno ottenuto 35 seggi su 87.

La soglia del 40% di elette è importante a doppio titolo. Da un lato, pone la Francia al terzo posto nella classifica del numero delle donne deputate europee, dopo i due "campioni del femminismo", la Finlandia e la Svezia (la media dei Quindici è del 29,9% di presenza femminile tra i deputati). D'altra parte, questo risultato si è trasformato in un punto di riferimento obbligato per i progetti di riforma in corso.

Nel rapporto presentato al primo ministro (1), Dominique Gillot, ex relatrice generale dell'Osservatorio della parità, non ha potuto fissare sotto il 40% la soglia di candidature femminili "obbligatorie" per le municipali del 2001 (nei comuni con più di 3500 abitanti).

L'irresistibile movimento di femminizzazione degli eletti francesi al parlamento europeo può così lasciar pensare che la parità sia a portata di mano, almeno all'assemblea di Strasburgo (2).

L'eguaglianza tra uomini e donne sarà tuttavia acquisita quando verrà raggiunta l'eguaglianza numerica?

E' lecito dubitarne se osserviamo, a monte, ciò che perdura nella vita familiare.

L'ineguaglianza uomini-donne in politica è in qualche modo il riflesso della loro ineguaglianza nella vita privata.

Fino a quando i compiti familiari resteranno (molto) inegualmente divisi tra i sessi, saranno un grave ostacolo per le donne, molte delle quali saranno scoraggiate a candidarsi.

Come sottolinea Alain Lipietz, deputato ecologista europeo, "Il tipo politico maschile struttura interamente gli apparati che determinano l'offerta elettorale: i partiti politici.

Per aggiudicarsi la candidatura in un partito bisogna aver solo quello da fare (ma le donne hanno mille altre cose da fare), amare questo (e le donne non amano per forza questa forma specifica di atto di potere), bisogna amare il potere per se stesso, mentre le donne vorrebbero poter fare qualche cosa di nuovo" (3).

Per partecipare attivamente alla vita politica, le donne sono costrette a risolvere le difficoltà del cumulo privato/pubblico spesso da sole, empiricamente, e quasi sempre attraverso una serie di soluzioni individuali messe assieme come possono.

"Anche quando il loro compagno assume la sua parte di fardello, è sempre sulle donne che grava la responsabilità principale della vita di tutti i giorni sottolinea Elisabeth Guigou, l'attuale guardasigilli il quotidiano è particolarmente difficile per una donna in politica, perché è una delle attività che meno rispettano i ritmi del tempo privato" (4).

I partiti, benché sempre attenti a presentare delle candidate che siano anche spose e madri, non si sono però affatto preoccupati di trovare soluzioni politiche che conciliassero compiti privati e attività politiche.

Soltanto il Partito comunista si è da sempre preoccupato di far eleggere le donne e considera da tempo che la custodia dei bambini sia un problema politico.

Per questo motivo accorda alle sue candidate madri di famiglia alcune facilitazioni, affinché possano farsi aiutare durante le campagne elettorali.

Tuttavia, è davvero il carico, oggettivo e soggettivo, dei compiti familiari che gravano su spose e madri che alla fine spiega il basso livello di rappresentazione politica delle donne in Francia? E' difficile dare una risposta precisa a questa domanda.

Non esiste in effetti alcun legame di causalità meccanica tra il livello della rappresentanza politica delle donne e i mezzi destinati alla custodia pubblica dei bambini.

Benché la Francia si situi al penultimo posto della classifica europea per la presenza di donne nel parlamento nazionale, arriva invece ai primi posti tra i paesi che (come la Svezia) hanno un buon numero di strutture per i piccolissimi (5).

Nei fatti, però, una relazione tra i due fattori esiste, sia pur indiretta.

Una politica generosa nei riguardi delle strutture per l'infanzia va di pari passo con un forte tasso di attività femminile, ed è questo il caso della Francia.

Ma sono le donne attive più che le donne non impegnate professionalmente ad essere maggiormente interessate alla politica.

Sono esse ad essere suscettibili di presentarsi candidate a cariche elettive.

E' questa la ragione per cui la femminilizzazione delle élite locali è prima di tutto un fenomeno urbano: è nelle città che si trova il maggior numero di donne con le caratteristiche "giuste" per presentarsi candidate (buon bagaglio culturale, forte tasso di attività professionale, esercizio di professioni qualificate).

In Francia, dopo le municipali del 1995, nelle città con più di 100mila abitanti le donne rappresentavano il 27% degli eletti, contro il 21% nei comuni con meno di 3500 abitanti.

Comportamenti di autocensura in Francia, come in Europa, l'ostacolo all' attività politica non è costituito più tanto dal fatto di essere sposate, ma da quello di avere bambini piccoli.

La maggior parte delle madri di famiglia si colpevolizza per non essere abbastanza disponibile verso i piccoli (6).

Questo sentimento di colpevolezza costituisce con tutta evidenza un freno psicologico potente alla ricerca di funzioni elettive.

Alcune inchieste portano però ad attenuare il peso dell'ostacolo familiare nella ricerca dell'investitura. Certo, le donne esitano di più a candidarsi a causa del "disordine familiare" in particolare quello prodotto dall'allontanamento da casa insito in una campagna elettorale.

Nel 1997, un terzo delle candidate socialiste all'Assemblea nazionale affermava d'altronde che non sarebbe mai candidato se non ci fossero state delle circoscrizioni "riservate" alle donne dal Partito socialista. Tuttavia, anche quando hanno un carico familiare, finiscono per decidersi.

Lo prova il fatto che "l'84% delle candidate del 1997 aveva dei bambini e, tra queste, circa il 77% ne aveva due o più.

Più di un terzo di esse, poi, al momento della campagna elettorale aveva uno o più figli di meno di quindici anni (...).

Il loro profilo sociologico mostra che si tratta di donne moderne, con un livello di istruzione più elevato rispetto alla media dei francesi. Sono attive.

Conciliano vita professionale e familiare e l'impegno nella vita pubblica" (7).

Questo è anche, a grandi linee, il profilo delle donne elette alle europee nel 1999.

Sono diplomate, esercitano professioni che si trovano ai livelli alti della scala sociale e (verosimilmente) molte di loro hanno dei bambini (8).

Il fatto che le candidate e le elette al Parlamento europeo siano più giovani dei loro colleghi maschi, talvolta molto più giovani, tenderebbe a dimostrare che le donne non soffrono di nessun ritardo dovuto al cumulo di vita familiare e vita politica.

I partiti, presi nella dinamica paritaria, sono stati spinti, è vero, a facilitare le candidature femminili e quindi a spingere le più esitanti, fino ad allora indecise tra famiglia, lavoro e politica.

Di fatto, qualsiasi misura coercitiva (quota, parità) è vissuta dalle donne come un'operazione di "rassicurazione" e neutralizza i comportamenti di autocensura legati il più delle volte alla loro cattiva coscienza di sposa e di madre. Un sentimento che rode, a gradi diversi, tutte le donne impegnate in politica, anche le più agguerrite (9).

Quanto alle difficoltà incontrate dalle donne elette a conciliare vita di famiglia e politica, le testimonianze differiscono, secondo il vissuto di ognuna (o le sublimazioni diverse di una stessa situazione).

Alcune donne non esitano a riconoscere che la loro doppia o tripla giornata ha delle conseguenze negative sulla loro vita privata e che il prezzo individuale da pagare per riuscire in politica è elevato: rinuncia ad avere un secondo o terzo figlio, problemi materiali relativi alla custodia dei bambini soprattutto in caso di malattia problemi psicologici con il compagno o i figli, a causa delle ripetute assenze da casa.

D'altronde è proprio questa l'ingiustizia fatta alle donne in politica: vengono rinchiuse nel dilemma "felicità privata o potere", mentre il problema non si pone mai in questi termini per i colleghi maschi.

Altre donne, al contrario, relativizzano le loro difficoltà e sottolineano che, rifiutando di sacrificare "tutto" alla politica, come fanno i colleghi maschi, proteggono la loro vita privata.

In ogni caso, affermano, il problema del cumulo non è più acuto in politica che in altre professioni.

Per esempio, come afferma una consigliera regionale, madre di due bambini piccoli: "Per i bambini di una donna in politica, la vita non è peggiore di quelli che hanno una madre infermiera di notte o donna di servizio.

E quelle che affermano di aver sacrificato la vita di famiglia per fare politica, semplicemente non l'hanno voluto. C'è sempre modo di organizzarsi" (10).

In ogni caso, la frase-chiave della riuscita in politica è chiara: l'organizzazione individuale.

Tutti lo dicono: oltre a un'eccellente salute, bisogna avere un'organizzazione personale senza pari. Tuttavia, cumulare attività politiche e compiti educativi è più facile per le elette che vengono da ambienti sociali privilegiati.

Hanno più mezzi per far accudire i bambini.

Inoltre, è negli ambienti più favoriti che padri e madri sono maggiormente disposti a dividere il lavoro domestico.

Resta il fatto che l'esercizio di responsabilità politiche da parte di una donna attiva e madre di bambini piccoli o è una prodezza individuale o appare un lusso di privilegiate.

La politica è ancora lontana dall'essere un'attività accessibile a tutte.

Le funzioni elettive troppo spesso rimangono riservate ai soli(e) cittadini e cittadine che dispongono di un massimo di risorse: tempo libero, soldi, capitale sociale e culturale.

Per arrivare senza indugi a una migliore articolazione tra politica e vita familiare, sono auspicabili due tipi di misure, che dipendono sia dallo stato che dai partiti. Da una parte, un vero e proprio "statuto del politico", che comporti misure speciali per alleggerire i carichi familiari.

Strutture collettive che funzionino con orari "elastici" (asili nido, strutture di custodia temoporanea) dovrebbero essere messe a disposizione dei politici e delle politiche che hanno carichi di famiglia. In mancanza di ciò, dovrebbero essere versati dei contributi per permettere di risolvere il dilemma "o la politica o i figli".

A questa politica volontarista dello stato, dovrebbe aggiungersi quella dei partiti (eventualmente incoraggiati dai poteri pubblici).

Ogni candidato che ha a carico dei bambini piccoli dovrebbe essere aiutato finanziariamente, perché possa fare appello a un aiuto esterno nei periodi di campagna elettorale.

Ma oltre a queste misure specifiche, converrebbe elaborare una politica familiare più "femminista" e rimediare al reale problema rappresentato dalla cura dei piccolissimi. Ricordiamo che in Francia la metà dei 2,2 milioni di bambini di meno di due anni sono custoditi a casa da uno dei due genitori, che nella quasi totalità dei casi è la madre.

Soltanto l'8% di questi piccolissimi ha accesso a un asilo nido. Questo problema cruciale delle strutture per l'infanzia sarebbe senza dubbio abbordato sotto un'altra ottica se ci fosse un 50% di donne nelle assemblee di deputati.

Per questo la parità uomo-donna in politica è più rivoluzionaria di quanto sembri.

Può contribuire in modo considerevole alla soluzione politica di una questione legata al sistema di legittimizzazione di una certa divisionesociale e sessuale del lavoro (11).

Per giungere alla spartizione del potere politico occorre ripensare sia l'organizzazione della vita parlamentare che quella dei partiti, per adattarla alla funzione di genitori, ma soprattutto occorre che, a monte, venga rivista la divisione del "potere" domestico e famigliare.

Riavvicinando i politici uomini e donne alle preoccupazioni quotidiane, la politica avrebbe solo da guadagnarci.

* Direttrice di ricerca al Cnrs-Cevipof.^

 

  1. Questo rapporto, destinato a tradurre in pratica le enunciazioni sulla parità, è servito di base all'elaborazione del progetto di legge che sarà adottata definitivamente entro la primavera prossima.^
  2. Questo articolo sintetizza la parte dedicata alla Francia di un'inchiesta comparata europea sull'articolazione tra vita politica e vita familiare, realizzata dal parlamento spagnolo e diretta da Maria Angeles Duran.^
  3. Alain Lipietz, "L'homme politique, loup pour la femme", in Jacqueline Martin (a cura di), La Parité: enjeu et mise en oeuvre, Presses universitaires du Mirail, Tolosa, 1998.^
  4. Elisabeth Guigou, Etre femme en politique, Plon, Parigi, 1997.^
  5. Jane Jenson, Mariette Sineau, Qui doit garder les jeunes enfants? Modes d'accueil et travail des mères dans l'Europe en crise, LGDI, Parigi, 1998.^
  6. Mariette Sineau, Des femmes en politique, Economica, Parigi, 1998.^
  7. Philippe Bataille, Françoise Gaspard, Comment les femmes changent la politique. Et pourquoi les hommes résistent, La Découverte, Parigi, 1999.^
  8. Le statistiche ufficiali, sia quelle del ministero degli interni che quelle del parlamento europeo, non dicono nulla sulla situazione famigliare né sul mondo dei bambini.^
  9. Cfr. la testimonianza di Elisabeth Guigou: "Sono stata a lungo preda di un sentimento di colpevolezza, che si è acuito ancora quando ho dovuto assentarmi per varie settimane di seguito a causa delle campagne elettorali. Mio figlio ne conserva ancora un ricordo penoso (...). Sono stata più volte tentata di lasciar perdere", op. cit. p.175.^
  10. Laurence Rossignol, intervista a Elle, 8 marzo 1999.^
  11. Cfr. Alain Bihr e Roland Pfefferkorn, "Pour la parité domestique", e Florence Beaugé "Le privé est politique", Manière de voir, n.44, marzo-aprile 1999.^