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Ingiusta detenzione ed errori giudiziari

07 novembre 2024

La riparazione per ingiusta detenzione ed errore giudiziario

La riparazione per ingiusta detenzione

I presupposti

Il codice di procedura penale, in adempimento dell’obbligo previsto dall’art. 5 co. 5 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), riconosce a chiunque abbia subìto un’ingiusta custodia cautelare, essenzialmente nelle forme della custodia cautelare in carcere e degli arresti domiciliari, il diritto ad ottenere un’equa riparazione.

Il diritto all’equa riparazione presuppone l’ingiustizia, formale o sostanziale, della custodia cautelare subìta:

  1. la prima ipotesi di ingiustizia, prevista dall’art. 314 co. 1 c.p.p., è di tipo sostanziale. In tal caso, l’equa riparazione spetta al soggetto innocente, che sia stato cioè prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, l’imputato non lo ha commesso, il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato. L’art. 314 co. 3 c.p.p. equipara alla sentenza di proscioglimento la sentenza di non luogo a procedere pronunciata al termine dell’udienza preliminare e il provvedimento di archiviazione emesso all’esito delle indagini preliminari
  2. la seconda ipotesi di ingiustizia, contemplata dall’art. 314 co. 2 c.p.p., è di tipo formale. In questo caso, l’equa riparazione spetta al soggetto, prosciolto o condannato, che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione irrevocabile (es.: del Tribunale del riesame) risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la custodia cautelare è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p. (ad es., quando mancavano i gravi indizi di colpevolezza, quando il delitto era punito con una pena che non consentiva l’applicazione della custodia cautelare o, ancora, quando la custodia subìta sia stata superiore alla pena irrogata con la sentenza di condanna). Come accennato, l’art. 314 co. 2 c.p.p. riconosce il diritto alla riparazione sia al soggetto prosciolto per qualsiasi causa sia al soggetto condannato: è infatti sufficiente che la custodia sia stata illegittima “formalmente”, non rilevando che essa fosse giustificata dal punto di vista sostanziale.

Il diritto alla riparazione è escluso per chi ha dato causa o ha concorso a dare causa all’ingiusta custodia cautelare per dolo o colpa grave; l’esercizio della facoltà di cui all’art. 64 co. 3 lett. b) c.p.p., cioè del diritto al silenzio, non incide sul diritto alla riparazione (art. 314 co. 1 c.p.p.). Tale condizione, ostativa alla riparazione, trova applicazione anche nell’ipotesi di ingiustizia formale, sebbene sia stata espressamente prevista solo per l’ipotesi di ingiustizia sostanziale.

Il diritto alla riparazione è altresì escluso per quella parte della custodia cautelare che sia computata ai fini della determinazione della misura di una pena ovvero per il periodo in cui le limitazioni conseguenti all'applicazione della custodia siano state sofferte anche in forza di altro titolo (art. 314 co. 4 c.p.p.). Quando con la sentenza o con il provvedimento di archiviazione è stato affermato che il fatto non è previsto dalla legge come reato per abrogazione della norma incriminatrice, il diritto alla riparazione è altresì escluso per quella parte di custodia cautelare sofferta prima della abrogazione medesima (art. 314 co. 5 c.p.p.).

La natura giuridica e la quantificazione dell’indennizzo

La riparazione per ingiusta detenzione è un indennizzo da atto lecito e non un risarcimento da atto illecito, derivando il danno dalla legittima attività dell’Autorità giudiziaria, sicché la decisione è assunta in via equitativa. L’entità della riparazione dev’essere commisurata alla durata della privazione della libertà e alle conseguenze personali e familiari derivanti dalla detenzione (combinato disposto degli artt. 315 co. 3 e 643 co. 1 c.p.p.) e non può comunque eccedere € 516.456,90 (art. 315 co. 3 c.p.p.).

Il procedimento giurisdizionale

La domanda di riparazione dev’essere proposta, a pena di inammissibilità, entro due anni dal giorno in cui la sentenza di proscioglimento o di condanna è divenuta irrevocabile, la sentenza di non luogo a procedere è divenuta inoppugnabile o è stata effettuata la notificazione del provvedimento di archiviazione alla persona nei cui confronti è stato pronunciato (art. 315 co. 1 c.p.p.).

La domanda dev’essere presentata presso la cancelleria della Corte d’Appello nel cui distretto è stata pronunciata la sentenza o il provvedimento di archiviazione che ha definito il procedimento. Nel caso di sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, è competente la Corte d’Appello nel cui distretto è stato emesso il provvedimento impugnato (art. 102 disp. att. c.p.p.).

Poiché si applicano, in quanto compatibili, le norme sulla riparazione dell’errore giudiziario (art. 315 co. 3 c.p.p.), ai sensi dell’art. 644 c.p.p., in caso di decesso della persona che ha subìto l’ingiusta custodia cautelare, possono richiederne la riparazione il coniuge, i discendenti e gli ascendenti, i fratelli e le sorelle, gli affini entro il primo grado e le persone legate da vincolo di adozione con quella deceduta.

A norma dell’art. 646 c.p.p., sulla domanda la Corte d’Appello decide osservando le forme dell’art. 127 c.p.p., e dunque con ordinanza pronunciata al termine di un procedimento in camera di consiglio (co. 1) La domanda, con il provvedimento che fissa l’udienza, è comunicata al pubblico ministero ed è notificata, a cura della cancelleria, al Ministero dell’Economia e delle Finanze presso l’Avvocatura dello Stato che ha sede nel distretto della Corte e a tutti gli interessati (co. 2). L’ordinanza che decide sulla domanda di riparazione è comunicata al pubblico ministero e notificata a tutti gli interessati, i quali possono ricorrere per cassazione (co. 3). Il giudice, qualora ne ricorrano le condizioni, assegna all’interessato una provvisionale a titolo di alimenti (co. 5).

La riparazione dell’errore giudiziario

I presupposti

L’errore giudiziario consiste nella scoperta, mediante la revisione ex artt. 629 e ss. c.p.p., dell’ingiustizia sostanziale di una sentenza irrevocabile di condanna. L’art. 643 co. 1 c.p.p. stabilisce infatti che chiunque sia stato prosciolto in sede di revisione, se non ha dato causa per dolo o colpa grave all’errore giudiziario, ha diritto a una riparazione.

La riparazione per errore giudiziario presuppone dunque:

  1. da un lato, la revisione di un giudicato di condanna, ancorché non eseguito (es.: per la sospensione condizionale della pena);
  2. all’altro, il mancato contributo doloso o gravemente colposo all’errore giudiziario.

Il diritto alla riparazione è peraltro escluso per quella parte della pena detentiva che sia computata nella determinazione della pena da espiare per un reato diverso, a norma dell'articolo 657 comma 2 (art. 643 co. 3 c.p.p.).

Le prestazioni riparatorie

Ai sensi dell’art. 643 co. 2 c.p.p., la riparazione si attua mediante:

  1. pagamento di una somma di denaro, che – diversamente dalla riparazione per ingiusta detenzione – è indeterminata nel massimo e, ai sensi dell’art. 643 co. 1 c.p.p., deve essere commisurata alla durata dell’eventuale espiazione della pena o internamento e alle conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna;
  2. costituzione di una rendita vitalizia, tenuto conto delle condizioni dell’avente diritto e della natura del danno;
  3. ricovero in un istituto a spese dello Stato.

Il procedimento giurisdizionale

La domanda di riparazione dev’essere proposta, a pena di inammissibilità, entro due anni dal passaggio in giudicato della sentenza di revisione e dev’essere presentata per iscritto, unitamente ai documenti ritenuti utili, personalmente o per mezzo di procuratore speciale, nella cancelleria della Corte d’Appello che ha pronunciato la sentenza (art. 645 co. 1 c.p.p.).

Legittimati a richiedere la riparazione dell’errore giudiziario sono, se il prosciolto è morto, anche prima del procedimento di revisione, il coniuge, i discendenti e gli ascendenti, i fratelli e le sorelle, gli affini entro il primo grado e le persone legate da vincolo di adozione con quella deceduta (art. 644 co 1 c.p.p.). A tali persone, tuttavia, non può essere assegnata a titolo di riparazione una somma maggiore di quella che sarebbe stata liquidata al prosciolto. La somma è ripartita equitativamente in ragione delle conseguenze derivate dall'errore a ciascuna persona (art. 644 co. 2 c.p.p.). Il diritto alla riparazione non spetta alle persone che si trovino nella situazione di indegnità prevista dall’art. 463 c.c. (art. 644 co. 3 c.p.p.).

Le persone indicate nell’art. 644 c.p.p. possono presentare la domanda nello stesso termine, anche per mezzo del curatore indicato nell’art. 638 c.p.p., ovvero giovarsi della domanda già proposta da altri. Se la domanda è presentata soltanto da alcuna delle predette persone, questa deve fornire l’indicazione degli altri aventi diritto (art. 645 co. 2 c.p.p.).

Sulla domanda di riparazione la Corte d’Appello decide in camera di consiglio osservando le forme previste dall’art. 127 c.p.p. (art. 646 co. 1 c.p.p.). La domanda, con il provvedimento che fissa l’udienza, è comunicata al pubblico ministero ed è notificata, a cura della cancelleria, al Ministero dell’Economia e delle Finanze presso l’Avvocatura dello Stato che ha sede nel distretto della Corte e a tutti gli interessati, compresi gli aventi diritto che non hanno proposto la domanda (art. 646 co. 2 c.p.p.). L’ordinanza che decide sulla domanda di riparazione è comunicata al pubblico ministero e notificata a tutti gli interessati, i quali possono ricorrere per cassazione (art. 646 co. 3 c.p.p.). Gli interessati che, dopo aver ricevuto la notificazione prevista dal comma 2, non formulano le proprie richieste nei termini e nelle forme previsti dall’art. 127 co. 2, decadono dal diritto di presentare la domanda di riparazione successivamente alla chiusura del procedimento stesso (art. 646 co. 4 c.p.p.). Il giudice, qualora ne ricorrano le condizioni, assegna all'interessato una provvisionale a titolo di alimenti (art. 646 co. 5 c.p.p.).

Se è dimostrato che venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato ai sensi dell’art. 630 co. 1 c.p.p., lo Stato, se ha corrisposto la riparazione, si surroga, fino alla concorrenza della somma pagata, nel diritto al risarcimento dei danni contro il responsabile (art. 647 c.p.p.).

Il procedimento amministrativo di esecuzione delle ordinanze

L’Ufficio competente

L’Ufficio IX della Direzione dei Servizi del Tesoro del Dipartimento dell’Amministrazione Generale, del Personale e dei Servizi del Ministero dell’Economia e delle Finanze è competente al pagamento delle somme che le Corti d’Appello riconoscono all’istante a titolo di indennizzo per ingiusta detenzione (artt. 314 e 315 c.p.p.) o errore giudiziario (artt. 643 e ss. c.p.p.) e a titolo di rifusione delle spese processuali.

I provvedimenti amministrativi i relativi mandati di pagamento vengono poi trasmessi all’Ufficio Centrale di Bilancio presso il Ministero, che ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n. 123/2011 provvede ad apporre il visto di regolarità amministrativa e contabile entro i successivi 30 giorni.

La documentazione necessaria al pagamento

Ai fini del pagamento, è necessario che l’Ufficio IX riceva all’indirizzo dcst.dag@pec.mef.gov.it:

  1. dalla Corte d’Appello competente copia conforme all’originale dell’ordinanza corredata di attestazione di irrevocabilità. L’attestazione di irrevocabilità è necessaria perché l’ordinanza che riconosce il diritto all’equa riparazione non è immediatamente esecutiva, ma, argomentando ex art. 650 c.p.p., acquista forza esecutiva quando diviene irrevocabile.
  2. dal beneficiario della riparazione il modello A), debitamente compilato e sottoscritto dallo stesso ai sensi degli artt. 46 e 47 d.P.R. n. 445/2000, unitamente alla documentazione ivi indicata, ossia:
    • copia del documento d’identità in corso di validità o di un documento di riconoscimento equipollente ex art. 35 co. 2 d.P.R. cit. e, ove posseduto, del codice fiscale;
    • copia della procura notarile all’incasso e copia di un documento di riconoscimento in corso di validità del procuratore e, ove posseduto del codice fiscale dello stesso, ove il beneficiario abbia rilasciato, mediante atto pubblico notarile, procura all’incasso in favore di un altro soggetto dichiarando nel predetto modello di voler incassare le somme liquidate a suo nome mediante accreditamento in conto corrente intestato al procuratore. Laddove la procura notarile sia stata formalizzata presso un notaio ufficialmente accreditato in Paese diverso dall’Italia, è necessario ch’essa sia legalizzata o, qualora trovi applicazione la Convenzione dell’Aja del 5/10/1961, apostillata e in ogni caso corredata di traduzione asseverata;
    • copia dell’eventuale decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
  3. dall’avvocato non distrattario, in caso di liquidazione delle spese di giudizio, il modello C), debitamente compilato e sottoscritto dallo stesso ai sensi degli artt. 46 e 47 D.P.R. n. 445/2000, unitamente alla documentazione ivi indicata;
  4. dall’eventuale avvocato distrattario, in caso di distrazione delle spese di giudizio in suo favore, il modello B), debitamente compilato e sottoscritto dallo stesso ai sensi degli artt. 46 e 47 D.P.R. n. 445/2000, unitamente alla documentazione ivi indicata e, in particolare, copia dell’atto costitutivo e dello statuto dell’associazione professionale nel caso in cui l’avvocato abbia dichiarato nel predetto modello di voler incassare le somme liquidate a suo nome mediante accreditamento in conto corrente intestato allo studio legale;
  5. dall’eventuale erede, in caso di morte del beneficiario delle somme liquidate a titolo di indennizzo e/o di rifusione delle spese di lite, il modello DSAN.

Modelli:

Le modalità di pagamento

Quanto alle modalità di pagamento, il creditore può dichiarare nell’apposito modello di volere incassare le somme liquidate a suo nome:

  1. mediante accreditamento in conto corrente bancario o postale ad esso intestato;
  2. mediante accreditamento in conto corrente bancario estero ad esso intestato. In caso di conto corrente di istituto di credito di Paesi non appartenenti all’area SEPA, il pagamento avviene attraverso la Banca d’Italia, che effettua il versamento in favore del beneficiario previo invio, da parte dell’Ufficio IX, del mod. OC 831;
  3. mediante accreditamento in conto corrente bancario o postale intestato al procuratore.

La verifica di regolarità fiscale

Prima provvedere al pagamento di un importo superiore ad € 5.000,00, l’Ufficio verifica che il beneficiario non sia inadempiente all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo e, in caso affermativo, non procede al pagamento segnalando la circostanza all’Agenzia delle Entrate-Riscossione competente per territorio ai fini dell’esercizio dell’attività di riscossione delle somme iscritte a ruolo, come previsto dall’art. 48-bis d.P.R. n. 602 1973.

In presenza della segnalazione di cui all’art. 48-bis cit., l’Ufficio, ai sensi dell’art. 1 co. 4-bis d.l. n. 16/2012, provvede comunque al pagamento in favore del beneficiario delle somme che eccedono l’ammontare del debito per cui si è verificato l’inadempimento, comprensivo delle spese esecutive e degli interessi di mora dovuti.

Contatti

Dirigente: Saverio Fata

N.B.: per informazioni sullo stato del procedimento è preferibile inviare un’e-mail all’indirizzo di posta elettronica ordinaria sopra riportato.